Poesie di un giorno

QuDu, 2018

Poesie di un giorno / Pesmi Dneva (QuDu, 2018) è la seconda raccolta di Miljana Cunta, autrice slovena che già ai tempi del proprio esordio, Per metà del cielo (Za pol neba) aveva riscosso notevole attenzione tanto in patria, all’estero, ed anche nel nostro paese dove il volume era stato interamente tradotto e pubblicato da Thauma nel 2013. Poesie di un giorno è però un libro molto diverso dal precedente, in quanto si tratta di una collezione di compatte prose poetiche che percorrono, con cadenza oraria, la giornata estiva di una donna anziana e di una bambina. Verrebbe istintivo pensare ad una nonna con una nipote che sembra Miljana stessa, ma la domanda è destinata a restare senza risposta ed è giusto così, dal momento che la Cunta rientra fra gli autori preziosi perché capaci di identificazione assoluta fra le proprie parole e quelle degli altri.

Apparentemente una struttura tanto rigorosa potrebbe suggerire l’idea che si tratti di una sorta di diario basato sul concetto di tempo, ma sarebbe un’interpretazione sbagliata. Un’ora, in Poesie di un giorno, non è un’ora di sessanta minuti: un’ora è l’allargarsi della giornata, “il mattino che si moltiplica come i pulcini nella stia dietro alla casa”, il timore che gli ospiti adulti ed estranei non vadano più via; ma è anche l’emergere prepotente dell’immagine del mare “verso il margine del mondo”, o il dormiveglia pomeridiano che reca con sé pensieri simili ad incubi. Questo vede, o meglio questo sembra trattenere negli anni la bambina, e vede anche la lentezza dei gesti dell’anziana – per cui le ore, ancora di più quelle notturne, sembrano avere un ritmo differente -, il suo scivolare senza rumore accanto al letto, il suo accarezzare un grembiule con fare assorto, “solo per sé”. È vero quindi che il tempo è sovrano fra queste pagine, ma si tratta di un tempo interiore, in cui i gesti diventano ricordi, rastremandosi oppure allargandosi nella visione che una bambina mantiene di ciò che ha conservato dall’infanzia.

Per chi ha avuto la fortuna di poter frequentare da vicino degli anziani o dei nonni, di conviverci almeno per un periodo, è difficile non riconoscersi in alcune delle istantanee di Poesie di un giorno, ad esempio il tempo trascorso davanti alla televisione, una passeggiata pomeridiana, la preghiera recitata “sino all’inevitabile amen”. Esiste una distanza evidente fra i ritmi dell’anziana e quelli della bambina, un’idea di atemporalità che passeggia “per i lunghi corridoi della casa”. Allo stesso modo lo spazio e gli oggetti sono qualcosa che la bambina non sempre comprende: “il comodino è colmo di proibizioni”, le pareti verdi e cupe, le porte pesanti. Eppure, avanzando nel maturare del giorno, compaiono momenti di complicità profonda fra le due donne che si ritrovano a ciondolare i piedi all’unisono nel pomeriggio o a condividere l’ombra degli alberi “all’estremo lembo dell’ampia radura”. Ma è di sera, soprattutto di sera, che lentamente la fratellanza prende corpo e consistenza, nel momento in cui, sotto il fardello pesante delle coperte, inizia il regno del linguaggio della notte, che per la bambina significa immaginare che le figure delle fotografie possano uscire dalle cornici e gli scampoli di tessuto rianimarsi come per miracolo. È allora, quando la stanchezza trasforma in vortice quanto rimane del giorno, che fra vecchia e bambina mette radici una dolcezza fisica di abbraccio e protezione che permette alle cattedrali dei corpi di svuotarsi e rasserenarsi, mentre “tutto il superfluo viene scagliato nella notte”; è allora che questa bambina – che oggi sembra parlare contemporaneamente al presente e al passato – può dire “anche noi due siamo felici. Né io né tu” quanto “noi”, che condividiamo la tangenza fra una vita che sta salendo verso il culmine e un’altra inevitabilmente in discesa, e lo trasformiamo in affetto destinato a lasciare testimonianza in un libro che “si è lasciato scrivere, non dalla vanità, piuttosto dall’incanto” che ha resistito allo scorrere del tempo.

Francesco Tomada